Il sonno è notoriamente una delle sfide che accomuna la stragrande maggioranza dei genitori, tant’è che, quando si ha un bebè e si incontra qualcuno, una delle classiche domande che vengono poste per prima è: “Dorme la notte?”.
Questo tipo di domanda evidenzia una delle più diffuse aspettative della nostra cultura e porta con sé un non-detto (che a volte invece viene pure esplicitato): dorme la notte DA SOLO?
Tanti miti sul sonno dei bambini tipici della nostra cultura purtroppo non tengono in considerazione, non solo la fisiologia del sonno dei piccoli, ma anche il benessere della famiglia specifica.
A volte le mamme mi chiamano, giuro, non perché loro abbiano un problema col sonno del loro bambino, ma perché qualcuno ha messo loro in testa che così come fanno non va bene.
Al momento tante coppie sono propense a praticare il cosiddetto bed-sharing, perché i genitori di oggi navigano su internet, si informano e ormai i benefici del sonno condiviso stanno iniziando ad essere più conosciuti, quantomeno da chi si sta approcciando alla genitorialità. La società in cui viviamo però, ha idee molto diverse in merito: in generale l’occidente contemporaneo ha una visione del bambino più centrata su quello che il bimbo dovrebbe fare, anziché su come è e sui suoi effettivi bisogni. Anzi, diciamoci la verità, la visione è centrata su quello che agli adulti farebbe comodo.
Non voglio fare l’elogio del bed-sharing, perché in tutta onestà penso davvero che ogni modo di dormire sia perfetto, se fa stare bene le persone che lo praticano. Se un neonato dorme beato nella sua culla in cameretta, da quando va a dormire, fino al mattino, e si sveglia felice e sereno, che problema c’è? E anche si svegliasse: se c’è una mamma o un papà che accorre, pronto a consolarlo amorevolmente finché non prende sonno di nuovo, che problema c’è?
Ma se la cameretta e il lettino devono diventare la croce di una mamma e del suo piccolo, che per sua natura è portato a 2-3 risvegli (fino ai 18 mesi circa) perché ha necessità di mangiare, perché non sa legare le fasi del sonno o semplicemente perché ha bisogno di sentire la sua mamma vicino, allora perché farlo?
Un giorno parlavo con una mamma che quasi col senso di colpa mi diceva quanto le piacesse annusarsi il suo cucciolo nel lettone e dormire accanto a lui, che era così morbido…e perché una mamma deve raccontarlo come se stesse facendo qualcosa di male?
Altrettanto una coppia mi spiegava, sempre con il tono di chi si giustifica (perchè forse è proprio così, là fuori c’è sempre qualcuno pronto a puntare il dito), che nel lettone proprio non ce la fanno, non riescono a riposare e allora tengono il bimbo in camera nella sua culla. Bene così, dico io!
L’importante è ricordare che noi facciamo parte delle specie che “portano” i loro cuccioli, come le scimmie: non a caso la qualità del latte umano sottende un rapporto di costante contatto o prossimità con la mamma. Nelle specie che “cacciano” invece, il latte è altamente proteico e molto calorico perché deve saziare i cuccioli per lunghi periodi, così da permettere alle madri di lasciare le tane per cercare il cibo. Ecco perchè la maggior parte dei nostri piccoli sta bene addosso a noi e mal tollera le separazioni: è la norma biologica che lo impone.
Altrettanto, dobbiamo ricordare che i bisogni dei bambini, così come quelli dei genitori, evolvono nel tempo dunque una modalità di sonno che va bene in un dato momento, può non funzionare più ad un certo punto. Non resta che riadattarsi a nuove pratiche!
Del resto il sonno dei bimbi non subisce un’evoluzione tracciabile in linea retta, in quanto è abbastanza tipico vedere bimbi che acquisiscono alcune forme di indipendenza e poi hanno momenti di regressione a fasi precedenti. Al di là dei loro specifici momenti di sviluppo, impatta significativamente anche ciò che accade nel contesto, e prova di questo l’abbiamo avuta ad esempio nel lockdown, in cui tanti bambini hanno avuto problematiche col sonno e si sono visti tanti ritorni al lettone.
Questi ultimi sono quelli che più spaventano, perché scatenano nei genitori il timore che quella sia tornata ad essere la normalità, mentre nella maggior parte dei casi si tratta di fasi passeggere che così come sono arrivate, vanno via.